martedì 31 maggio 2011

lunedì 30 maggio 2011

Progetto per un complesso residenziale vicino Roma



Il progetto


Prospettiva di una zona

La planimetria generale

Prospettiva Suites con giardino

Prospettiva Suites
Render Suites



Disegni per la disposizione degli spazi

Prospettiva dell'interno


Progetto esecutivo Suites


martedì 24 maggio 2011

La città città del sole

La città del sole
"CITTA' DEL SOLE" è un progetto, simbolo di storia, di cultura, di architettura,che alla ricerca di una nuova sintesi nella contemporaneità, si colloca nel panorama dell'architettura sud e centro americana come elemento di cerniera tra le culture indo-americane e quelle europee.
Un tentativo di ponte (abbraccio) tra le esplosive e dinamiche architetture degli Hopi, degli Zuni e dei loro antenati e discendenti, dove gli elementi naturali, fusi con una geometria al servizio dell'uomo, ci restituiscono oggi, una immagine simbolo di una civiltà scomparsa e insieme alle idee  prodotte dalla "vecchia Europa", forniscono oltre alla tecnologia più avanzata, il desiderio di reinserire l'uomo in un discorso globale, che comprenda la creatività, la natura e tutto ciò che gli appartiene da sempre.
"Città del Sole" è anche legata all'Ecuador, e da qui la forza del simbolo, da questa linea immaginaria,la linea dell’equatore, che come in un teorema di geometria pura, divide la terra in due semisfere.
La linea dell'Equatore è anche una linea ideologica dove l'architettura come visione di se stessa, si divide simmetricamente in due , (come nella "Città del Sole") forse in quattro, in otto, ecc… producendo delle forme che esistono in funzione l'una dell'altra, facendo vivere simultaneamente episodi diversi, dove l'individualità che nasce dal modo di ognuno di condurre la propria vita, si armonizza e la linea dell'Equatore diventa una linea d'acqua che non separa ma rilega con la sua presenza.
Un lancio pubblicitario della linea dell'Equatore (a pochi chilometri da Quito).!
Questa linea d’acqua divide due grandi anfiteatri a gradoni,con affacci,habitat,terrazze e percorsi,distribuiti come negli antichi pueblos nel sud degli Stati Uniti.Comunque questa sua presenza è un fatto, e può diventare, il luogo ideale per un nuovo discorso latino-americano sulle culture pre-hispaniche, con l'inserimento nella "Città del Sole" di un museo d'arte pre-colombiana, di centri studi,laboratori di lavoro artigianale, tessuti, ceramiche, tintorie, e poi scuole,scuole di formazione, centri commerciali, spazi all'aperto e al coperto per mostre d'arte, cinema, spettacoli; nel centro della piazza, un grande sole (che può funzionare come accumulatore di energia solare, da restituire alla città sotto forme di energia per un totale di 5000 - 6000 abitanti). Dentro il sole, è inserito un grande auditorium per la musica. La piazza sarà coronata per quanto riguarda il piano terreno da piccoli ristoranti, ritrovi, bar, per  un'animazione continua, in collegamento con i mercati coperti ed i laboratori artigiani.Ai due estremi della linea acqua-equatore,la piramide di cristallo, museo emergente,da una parte e dall’altra una piramide in negativo con la cuspide verso il basso a sottolineare con un bacino d’acqua ,la fonte della vita.Il tutto inteso come un centro di attrazione per Quito, e punto di riferimento turistico e culturale per uno studio attento della storia ecuadoriana e latino-americana.
"Città del Sole" vuole essere, una città-satellite di Quito,e potrebbe diventare uno dei suoi motori, collegata con una superstrada, corredata da ampi parcheggi sotterranei.La città realizzata con materiali semplici, del posto, come mattoni, intonaci, legno, ma dotata internamente di un'alta tecnologia di funzionamento che consenta una regia di coordinamento tra le varie attività,sarà strutturata con percorsi rapidi che permettono anche dalle abitazioni di raggiungere il terreno agricolo circostante, distribuito proporzionalmente in orti, campi seminati, giardini, spazi comuni, terreno libero.
Comprendere dunque oltre alla cultura (la piramide-museo di CRISTALLO) le attività di studio e quelle artigianali ed agricole.
Il grande bacino d'acqua negativo della piramide-museo, dovrebbe, nelle verifiche degli scienziati, diventare una batteria solare.
“Città del Sole”è il mio  primo tentativo,di dare sostanza ed immagine a questi  anni del peregrinare tra popoli ed abitudini,tra sussuri di favole cosmiche e lettini psicoanalitici mitteleuropei,a cavallo di “critiche della ragion pura”….e fino a Jung di porte non aperte ,ignoranza dell’oltre,e dell’altro…fino a Jung,ed alla scoperta del subconscio. 

Il Circus, Arte&Cultura in un BAR

Trasformazione di un vecchio magazzino nel centro di Roma in Bar per esposizioni d'arte etc
Circus, il progetto

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Progetto per l'aeroporto di Malpensa

La casa tra i pini...(il progetto)

Casa privata, Letto master

Casa privata, Scala interna

Casa privata, Soggiorno

Casa privata, Vano scala
 
Casa privata, Soggiorno con camino
Casa privata, Mobile pranzo

lunedì 23 maggio 2011

La casa tra i pini...(la pubblicazione)

Siamo nella Roma di fine 800 inizi 900, si sta sviluppando intorno a Villa Borghese, una nuova zona residenziale di alto prestigio, con le caratteristiche di ville a più piani e degli effetti architettonici , romantici con punte di orientalismo(arabisances)…Guardano, soprattutto quelle in prima fila il mare di pini della villa Borghese con svettanti il museo Borghese ed altre architetture (storiche) inserite qua e là….
Negli anni trenta , una di queste ville sfida la retorica precedente per ispirarsi al neo razionalismo, molto in voga in quegli anni.
La premessa , indica lo spunto architettonico al quale ci siamo allineati , nel momento che ci è stato proposto di intervenire sugli ultimi 3 livelli della costruzione.

Il tema proposto poneva l’accento su di una famiglia numerosa, quindi dividere gli spazi in modo che ognuno potesse usufruire dello stare insieme , ed anche godere della propria privacy.
Ai figli è stato dedicato il primo livello, con ampi saloni, studio per pianoforte e computer , varie camere da letto e servizi, come cucina, office, dispensa ed una nuova scala disposta nell’ingresso, visibile e scenografica che, oltre ad un ascensore interno, avrebbe collegato questo livello con il II° e con il III°.

Questi due livelli sono stati dedicati ai genitori, e gli spazi esterni, grandi terrazzi , alla vita collettiva .

Tre elementi hanno guidato la progettazione alla ricerca di una nuova impostazione moderna ma calda (warm) e accogliente…Il parquet di rovere a doghe larghe, a terra, rivestimenti in ciliegio sulle pareti, con la filosofia del bugnato, anni ’30, superfici vetrate ovunque fosse possibile per catturare il meraviglioso mare dei pini di Villa Borghese.
Opere d’arte contemporanea di Sandro Sanna nel soggiorno e di Massimo Catalani nella zona pranzo completano un arredamento tutto studiato apposta per loro: divani, poltrone, tavolini, tavoli con lacche satinate , intarsi di marmi vari, rosa corallo, giallo siena, giallo tafu, travertino, ed il camino listato in portoro nero,
…Le superfici della casa sono tutte in color panna, e molti controsoffitti luminosi, rompono qua e la sequenza piatta dei soffitti, diffondendo luci regolabili con centraline elettroniche …Al terzo livello verso i grandi terrazzi, ombreggiati da tensostrutture della Sunsquare, un lato dell’architettonico è tutto vetrato, per esaltare l’idea della serra, come veicolo per la luce.

LA CITTA’ IDEALE NEL III MILLENNIO, AUROVILLE

(...) Quando vidi per la prima volta di Pondycherry, capii subito che questa città distesa sulle coste del Tamil Nadu, a fronteggiare il mar delle Andamane, sarebbe di prepotenza entrata in quella folta schiera di “città luce”, come uso definire le città coloniali, destinate a raccogliere le grandi fusioni etniche e culturali del XVIII e XIX secolo.
Gli edifici palladiani che la compongono, quali insediamenti governativi, sontuose residenze, chiese e scuole, sono formati da colonne, doriche , corinzie, lisce, scanalate, dai tenui colori aranciati. Immersi in verdi profondità tropicali, capitelli, logge, balconi si fondono con gli elementi primari dell’architettura indiana, case patio, lunghe facciate con arretramenti e filtri di luci, di ogni foggia e stile, a creare ombre e microclimi.

 Come nel quartiere francese della Nouvelle Orleans, gli edifici sono disposti a scacchiera con grandi boulevard e strade strette. Questo di Pondycherry, nel sub continente indiano, rappresenta l’unico esempio consistente di una presenza francese in quell’area, e oggi un vasto programma di conservazione ne garantisce la sopravvivenza.
Nei luoghi di questa città indo-europea arrivavano anticamente navi dalla Grecia, la chiamavano Podukè, e ora, scavando stanno venendo alla luce i resti di un porto romano, muraglioni, anfore e monete e 8 Km più a nord, in modo non casuale, in una grande piana poco distante dal mare, alcuni alberi millenari, Bamyan, sacri come quelli di Bodgaia  per il Buddha Sakyamuni, segnano un terreno che è stato luogo di raccoglimento e meditazione e anticamente chiamato Puri-Veda. Uno dei centri nel sud dell’India da cui furono irradiate le antiche regole, tramandate oralmente.
Ed è in questi luoghi  che il grande filosofo Indiano Sri Aurobindo, spinto alla non-azione dalle autorità inglesi, passò gran parte della sua vita  (dal 1910 al 1960), lavorando ad un “Rinascimento Indiano” che creasse nel suo popolo, con una nuova presa di coscienza, un forte blocco di opposizione all’occupazione inglese. La filosofia di ricerca di Sri Aurobindo, si fondava su alcuni importanti concetti derivati dal pensiero occidentale come democrazia, scienza, tecnologia, arte, per integrarle sincreticamente alla cultura Induista.
Dice Sri Aurobindo: « Au cœur de la conception indienne se trouve l’idée que l’Eternel, l’Esprit est enclos dans la matière involuté et immanent en elle, et qu’il évolue sur le plan matériel au  moyen de la renaissance individuelle, gravissant les échelons de l’être jusqu’à ce qu’en l’homme mental il pénètre dans le monde des idées e dans le domaine de la moralité consciente, le dharma. »

particolare del plastico realizzato

Questo pensiero progressista che si fondava su una profonda fede nella conoscenza dello spirito e della materia, ha portato dopo l’indipendenza raggiunta  nel 1948, a realizzare proprio in quei luoghi la Città Universale di Auroville. Dedicata al grande filosofo scomparso dalla moglie, La Mère , fu inaugurata il 28 febbraio 1968, alla presenza di 5000 persone, provenienti da 124 paesi diversi e delle più importanti autorità indiane.

plastico della linea di forza
Auroville vuole essere una città universale dove uomini e donne possano vivere in pace e armonia, al di la delle divisioni etniche, politiche e religiose. Lo scopo di Auroville è contribuire a realizzare l’unità tra tutti i popoli. Oggi Auroville conta 1700 abitanti provenienti da 35 nazioni. Un altopiano desertico è divenuto una meravigliosa foresta con al suo centro il Matrimandir: un enorme sfera compressa nei poli, “l’anima di Auroville” come usava chiamarla la Mère, al cui interno si trovano luoghi di silenzio e meditazione, circondati da giardini e dagli antichi alberi dei Veda, dei Rishi, dei Sadu, di Sri Aurobindo.

(...)      Ero emozionato e l’impatto con quest’idea di città, continuava a d occupare la mia mente, ripensavo a Pueblo Bonito,alla Città del Sole,ai suoi concetti di idealità e di globalizzazione di sistemi differenti tra di loro, come un alchimia antropologica. Incontrai nel centro studi un edificio moderno e ben inserito nel contesto,che fronteggiava il maestoso Matremandir, una sfera ovalizzata,alta 30 m..L’involucro esterno è composto da una miriade di dischi dorati,ora sollevati,ora compressi,cosi da creare una membrana sfaccettata,sostenuta da una struttura curva reticolare in cemento armato
(...)Incontrai,dicevo,quello che allora era il responsabile delle relazioni esterne di Auroville, Luigi Zanzi, un italiano di Ravenna.(...)
“Perché non ti prendi una linea di forza e la studi?” Mi stava dicendo Luigi al culmine del nostro incontro..
(...) 
L’impostazione generale prevedeva un habitat per 50.000 abitanti nel 2025!
Esausto dopo 3 giorni di lavoro tornai da Luigi,  rimase affascinato dagli schizzi che avevo prodotto a Pondycherry e lì fatto fotocopiare.

render dell'atrio
 
La galassia con le linee di forza

Disse che dovevamo iniziare un ciclo di reciprocità…studi, suggerimenti, proposte e che avrebbe organizzato una mostra e una conferenza per il, Natale 2007/2008, disse che avremmo dovuto incontrare Auger…
Ci vedemmo ancora poi ripartii per Roma con quell’avventura nel cuore e nella mente . Portai avanti il progetto nei 4 mesi che ci separavano dal nuovo incontro , coinvolsi vari giovani collaboratori tra cui a Londra, l’arch. Carlo Benigni, mio figlio Nur, per gli aspetti economici e gestione dell’eco sostenibilità…Luigi mi disse che la gente di Auroville , si era mostrata entusiasta del progetto …e che aveva raccolto fans e adesioni …ma si preparava all’incontro con Auger..
Mi resi conto quando arrivai il 20 dicembre , sempre a Pondycherry, che l’entusiasmo mi aveva fatto sottovalutare l’incontro con un artista architetto di cultura francese . Nacque un conflitto tra metafisica e cartesianesimo , continuava a dire che i soffitti delle unità o appartamenti o villa che aveva progettato non superavano mai i 2.40 m di altezza in modo da dare al prospetto una visione più allungata .
Ci trovavamo a casa sua , una  villa immersa nel verde , esempio di come i primi abitanti soprattutto francesi, avevano operato su questa vasta landa  desolata trasformando tutto il territorio in un giardino incantato. Una palma , un hibiscus crescevano di 2 metri all’anno.
In questo incanto la sua villa, un po troppo sottodimensionata,la sua idea delle altezze dei soffitti era un po penalizzate, tutto troppo piccolo come se umiltà e presunzione si fossero fusi per esprimere dei limiti, in quel contesto non necessari.
Auger ci ricevette, nel suo studio pieno di disegni e di plastici, con la moglie, la moglie la nipote della Mere, Luigi era con Brigitte , sua compagna e direttrice del lycee di Pondy, retaggio di una lunga ed unica colonizzazione francese in India.

Prospettiva della linea di forza

C’erano Paul e la simpatica moglie , anche loro, parte del gruppo di gestione di Auroville, Auger  mi chiese quale funzione Avessero questi “grillages”…inframezzati fra gli edifici, provai a spiegargli che erano come dei tromp l’oeil ecosostenibili, a simulare onde e curvature in un terreno praticamente piatto…
Ma lui non volle entrare in questi ragionamenti , l’uomo che aveva progettato il Matremandir , e la galassia città non vedeva di buon occhio una lettura che non fosse sua, delle “linee” di forza  e venne fuori il lato Le Corbusier insito nei Francesi , dove il cemento armato la fa da padrone , dettando legge nelle Unité d’habitation …e come Chandigar o Ahmenabad , appare purtroppo eroso e consumato dal tempo .Poi la crisi economica ha tagliato le ali a tante iniziative , il gruppo di Luigi , oggi è defilato e lui in particolare si occupa di fund raising ..per il sostegno di Auroville . Oggi Auger non c’è più , ci ha lasciati nel 2009 ed io non ho smesso di sognare , l’India è in movimento ed il pensiero che mi attrae li è sempre forte e premuroso, e ho pensato che certi cicli, forse, sono destinati a compiersi.

render dei volumi della linea di forza

Giusto, dobbiamo mettere a posto la Farnesina...

Quando Umberto Vattani mi chiamò dicendomi, “dobbiamo mettere a posto la Farnesina  ” ebbi un sussulto ed un emozione profonda.
Voleva dire, entrare nel tessuto storico ed Architettonico del paese, confrontarsi con un “Mostro” resuscitato da Amintore Fanfani a metà degli anni cinquanta e reso     Ministero Degli Affari Esteri, il Ministero più prestigioso.
Un Concorso per la sistemazione esterna del Piazzale della Farnesina, con il grande viale che portava al Tevere, e ad un ponte, che non fù mai realizzato fù vinto nel 1998 dall’ Arch. Riva. Noi arrivammo, in quel Ministero subito dopo.
Con l’Arch. Mariani ci mettemmo all’Opera, ed in 5 anni, resuscitammo il “Mostro”. Lavorammo all’inizio con il Provveditorato, al miglioramento delle Opere interne, creando nuovi saloni, nuove illuminazioni, pulizia dei marmi. Poi, grazie ad una grande riunione U.E.O. che riuniva, i rappresentanti di più di 30 paesi, che l’Amb. Umberto Vattani, divenuto Segretario Generale, ebbe la brillante idea di realizzare negli spazi della Farnesina, risparmiando sugli allestimenti esterni, tipo usa e getta, e realizzando opere permanenti e di manutenzione.
Gli ascensori cambiati tornarono a funzionare veloci, la mensa, rinnovata fu accolta con entusiasmo.
Furono adeguati la sala dei congressi, con un tavolo per 60 conferenzieri, grandi saloni d’ingresso, la nuova Biblioteca storica, tutta meccanizzata coi il Genio Civile, e apparvero le prime Opere d’Arte moderna a fare da contorno al rinnovamento: Sandro Chia, Antonio Depero, Lucio Fontana, Piero D’Orazio, Janis Kounellis-Ceroli.
Nasceva la collezione Farnesina, curata da Italo Calvesi, e dall’interno Sandro Merola, Mara Girace ed altri collaboratori.  Un fiorire d’ Arte e di animazione fino a raggiungere oggi le 350 Opere, concesse con la formula del comodato, l’Artista presta e rimane proprietario, vede le proprie Opere girare il mondo, al seguito di Mostre e Fiere. E trasmette il linguaggio di un paese, dei tanti artisti.
Mancava ancora qualche cosa, ed era quel problema di comunicazione tra le due ali del ferro di cavallo. Tutto il “traffico” passava attraverso la “Sala  De Grenet”  ed i Saloni di rappresentanza del M.A.E., davanti agli uffici del Ministro, disposti sull’ala corta.
Ed insieme ad Umberto Vattani pensammo di unire esternamente le due ali lunghe, approfittando di un grande balcone che dava sul cortile interno di fronte alla sala d’attesa principale (la De Grenet).

Progettammo due passerelle, nei due vuoti laterali al balcone ed usammo le 2 finestre, laterali, come accessi dalle 2 ali lunghe. Il tutto rivestito con un piano inclinato di cristallo alto 8 mt. che raggiungeva la balaustra del balcone esistente, la struttura d’acciaio portante, era realizzata in travetti rettangolari dai quali partivano i nodi portanti, detti spider-glass, che con 4 ventose a pressione e a vite reggevano i cristalli giganti, in vetro St. Gobin, l’aria condizionata immessa dal basso,bagnava la superficie vetrata,garantendo trasparenza, come nelle torri degli aeroporti, la visibilità sarebbe stata sempre garantita.
Il lavoro di Del Debbio, a parte le due passerelle, come ponti provvisori e qualche foro per le viti sul travertino, era stato completamente rispettato.
Fu inaugurata dal Min. Lamberto
Dini e recepita dall’ intero M.A.E., come una soluzione ardita e funzionale, è visitata dagli studenti della Facoltà di Architettura, e da altri. Opere D’Arte, scultura in particolare, accompagnano la passeggiata di oltre 40 mt.: “Il Ponte Umberto”.   



Italia Russia," Da Giotto a Malevich e la reciproca meraviglia”


Un viaggio di Azeglio Ciampi, allora (2000) presidente della Repubblica, in Russia, fu l’occasione di far nascere un protocollo Ciampi-Ivanov (allora ministro degli esteri) che stabiliva nuovi e serrati rapporti culturali tra l’Italia e la Russia.
L’accordo fece nascere l’idea di una grande Mostra da tenersi a Roma ed a Mosca che coinvolgesse 800 anni di storia tra i due paesi, dalle prime evangelizzazioni di Cirillo e Metodio, figli di Teodosia Imperatrice di Bisanzio nelle terre degli slavi, che produssero i primi frammenti lignei dipinti su fondo oro, dove la trinità era rappresentata dal padre, dalla madre e dal figlio. Non era ancora il tempo in Russia per lo Spirito Santo, il confronto era con i nostri Giotto e Cimabue, ed altre influenze bizantine, come il bruciaprofumi della fine del XII secolo, in argento dorato a sbalzo e traforo, dalla basilica San Marco di Venezia che diventerà uno dei leit motif della mostra.
Poi il Rinascimento in pompa magna con il confronto tra il maestro russo Andrej Rublev ed i nostri grandi, tra gli altri Michelangelo, Leonardo da Vinci, Botticelli, Tiziano Vecellio, Raffaello Sanzio, il Correggio, Antonello da Messina…una cornucopia suntuosa poi,oltre fino al secolo dei Lumi, all’Ottocento, per arrivare a Malevich: “da Giotto a Malevich e la reciproca meraviglia” fu il titolo della mostra. Per me si era aperto un mondo conosciuto fino ad allora solo attraverso ricerche storiche, culturali e politiche, ma era la prima esperienza diretta nella “Grande Madre”Russia.
Quando mi fu affidato l’incarico di allestire la Mostra e di partecipare in modo serrato a tutte le fasi di preparazione e di sviluppo di questa grande macchina progettuale sentii un‘ attrazione profonda , mia  moglie Tamara era figlia di un erede diretto della famiglia Karlowitz, già Sangalli , emigrati da Pavia ,nel 600, prima in Germania e poi  a S. Pietroburgo, su chiamata di Pietro il Grande . Misero su la più grande fonderia di ghisa e di metalli della Russia , le cui ciminiere potei ancora vedere nei miei successivi sopraluoghi. Generarono con il loro lavoro, ricchezza e manufatti mirabolanti, quali i ponti sulla Neva, il primo impianto moderno a caldaia dell’Hermitage, i cancelli e le inferriate di Soskeselo, Palazzo d’inverno degli Zar a San Pietroburgo, un quartiere modello su di un isola della Neva, per gli operai , i dirigenti , vi aleggiava lo spirito utopistico del secolo dei Lumi.
 Fu l’inizio dell’esplorazione di un “continente”come la Russia,setacciandone la storia,scoprendo i rapporti costanti e fruttuosi con le scuole italiane,il trionfo della Terza Roma,creata da Pietro il Grande,per spostare ad ovest l’area d’influenza, ed anche  per bilanciare l’eccessiva potenza della nobiltà di allora, che sfruttava nella direzione di Perm e degli Urali, le immense ricchezze minerarie del sottosuolo. S.Pietroburgo fu ideata,progettata e decorata, soprattutto da architetti italiani, Bartolomeo Rastrelli. Antonio Rinaldi, Giacomo Quarenghi, Vincenzo Brenna, sorse come una “città ideale”,che intrecciava il suo percorso con le città luce,sparse nel pianeta,simboli di un complesso pensiero scientifico-urbanistico ,e la spinta del Rinascimento portava al consolidamento  evolutivo del secolo dei Lumi.

LA PIRAMIDE GIARDINO, Bari 1989


Così come in (A. Clarke), autore di "2001 Odissea nello spazio", l'elemento, che simboleggia per l'essere umano il punto in cui il "conoscere" ed il "conosciuto" si fondano, così da diventare parte del tutto, era il "Monolito". Così, nelle menti di tanti altri esseri, sparsi nel corso dei millenni, proliferò analogamente l'idea della "Piramide". Una delle forme geometriche più antiche in natura assimilabile alla montagna: “La montagna sacra … Olimpo degli Dei”.
In essa la primitiva percezione del rapporto fra cielo e terra, andò evolvendo in minuetti astrologici, spirituali e architettonici, fino a rappresentare l'elemento unitario di un procedere collettivo del pensiero degli uomini.
Dalla "Piramide tomba", alla "Piramide trasparente", sopravvive e si sviluppa questo dialogo tra "conoscere" e "conosciuto". Gli esseri "senzienti" del nostro pianeta, dialogano dunque da sempre con questi oggetti simbolici, in continua mutazione, e dalle forme più disparate: coniche, piramidali, a gradoni, circolari, con ardite inclinazioni, tronche, a punta, con in cima la casa degli uomini (Jucatan), in infinite varianti, e dagli usi più disparati.
(...) Cosi ci siamo presentati, alla fiera del Levante di Bari 1988, con l’allestimento per il CNR di una grande piramide in acciaio e pennellature trasparenti; simbolo della ricerca scientifica, collocata in un ambiente parzialmente coperto, che richiami il senso del giardino, dove la scienza e la ricerca si mostrino all'interno di un percorso fluido: COME IL "PASSEGGIARE" SU DI UN PRATO.
All' interno della piramide un giardino all'italiana.
Il giardino come simbolo di una indagine storica da estendersi a quasi tutte le civiltà e per un ambito temporali di millenni, vuole dimostrare che alla sua evoluzione concorre, strettamente collegate con la concezione della natura, la pratica religiosa.
Il giardino racchiude in se, quindi, un patrimonio comune a tutte le civiltà storiche, il mito di un "paradiso terrestre", visto come una condizione smarrita di perfetta armonia tra uomo e natura, fu luogo anticamente di pratiche culturali agresti e domestiche, ebbe zone votate a un "genius loci", alberi e fonti considerati sacri.








...Puoi portare in India una mostra su Leonardo?

Finalmente! Nel 1987, arrivò il viaggio in India … la meravigliosa, poliedrica, immensa India!
Cronologicamente parlando vi arrivai un po' tardi (43 anni), ma, andava prima completata quella ricerca "Welt-anschaung" che era iniziata con i viaggi da "figlio di diplomatico". Prima: l'Austria, la Romania, la Libia, l'Argentina, il Brasile, il Cile, il Sudan, poi, per conto mio gli Stati Uniti, il Messico, la Tunisia, l'Algeria, il Marocco, il Senegal, l'Egitto, l'Arabia Saudita, la Grecia, la Turchia (vari paesi europei).  Un "ciclo esplorativo" parziale dell'Africa, del mondo arabo, delle Americhe, e dell'Europa era compiuto.
Ero quindi pronto ad affacciarmi verso il grande continente asiatico.
Molto sapere su quei paesi era stato assimilato divorando libri, riviste, documentari come quelli sull'India di Roberto Rossellini e Pier Paolo Pasolini.
La centralità della cultura mediterranea, come "aggregazione" di culture diverse, alla ricerca di un tessuto connettivo e propositivo era ormai avvenuto nella mia mente, ed il superamento di una visione filosofica "marxista-leninista", che potesse risolvere tutti i problemi del mondo, era lo "status" nel quale mi dibattevo.
(...)
Conoscevo quindi l'Islam, abbastanza bene, ed avendo percorso il mondo islamico in lungo e in largo era giunto il momento dell'Induismo!
Quella volta la telefonata di Gaia Franchetti e di Alberto Bracci, titolari di una nascente associazione Italia-India, fu: "Giusto, puoi andare in India, a realizzare una mostra su Leonardo da Vinci!”.
Rimasi folgorato! Tanti avvenimenti mi spingevano ormai verso quella realtà. Tanti amici vi erano stati, alcuni erano rimasti per lungo tempo, altri, tornati con l'aria incantata e con verità interne completamente ribaltate! Io, in fondo, cercavo un approccio diverso con quella realtà, non da turista, e non da discepolo di qualche guru, bravo e capace a disoccidentalizzare in superficie, lasciando sotto la nuova leggera patina, intatti, eghismi, e capricci. Pensavo soprattutto a Baguan Sri Ranesh grande conoscitore delle filosofie occidentali, e quindi pronto ad accogliere nel suo grembo antico, le avanguardie esistenzialiste e stressate del. nostro mondo.
Ma, l'Induismo, a parte alcuni di questi ashram, diciamo molto liberali verso il mondo occidentale era una straordinaria filosofia della vita, in perenne contatto con il passato delle grandi filosofie vedaiche.
L'India che desideravo, era quella magica e misteriosa, piena di segreti da svelare e di nuove e ancora più antiche storie da raccontare.
Avvicinarmi a tutto questo, all'ombra di uno straordinario artista come Leonardo da Vinci, era come possedere un passaporto, una chiave di lettura che mettesse a confronto un modernismo del passato (Leonardo), ed uno del presente (India).
(...) 
Fu l'occasione, con questa mostra "Leonardo in India", composta dai manichini vestiti da Piero Tosi ed Umberto Tirelli, integrata dagli splendidi modelli di Leonardo riproducenti i suoi esperimenti, provenienti dal museo Poldo Pezzoli di Milano, completata da una serie di padiglioni, ispirati ai suoi disegni tratti dall’"architettura da festa" di trasportare in India un "concept" delle città italiane di allora.
"L'architettura da festa" mi era strettamente compatibile, vicina all'idea metafisica del vuoto e del pieno. La sua concezione della colonna dorica, segnata verticalmente da tondini e fissata orizzontalmente da cerchi, era il "minimo" che potesse recepire ed indicare lo spazio. Poi tetraedri strutturali, come le filiformi strutture di acciaio degli edifici moderni, componibili tra di loro, a creare coperture, tensostrutture modulari. Spazi da occupare per le grandi feste dei Gonzaga, che si esaurivano in un tempo effimero tra l'alba ed il tramonto.
Queste architetture leggere, sperimentate già ai Vivai del Sud come gazebo, padiglioni, che già tanto mi avevano colpito nel raffronto con la Nouvelle Orleans, furono le armi che portai con me in quelle due mostre, realizzate a Delhi e a Bombay.
E fu con grande stupore che in una calda e buia notte a Delhi nell'Aprile del 1987, vedemmo uscire da alcuni vagoni merci in una sperduta stazione commerciale, insieme ad Alberto Bracci e Jill Rossellini, queste colonne traforate, queste cupole, questi sfarzosi manichini, e queste macchine realizzate in Italia, che sembravano fatte a misura d'uomo. Un guru dell'Occidente che attraversava il mondo per portare in quelle terre lontane il suo messaggio di idee e di invenzioni.

New York City

 I Vivai del Sud con il loro design ed il loro “stile”, propositivo verso nuovi orizzonti, avevano realizzato il sogno, una “cerniera” creativa con gli States ,tutto era incominciato a Miami, dove un gruppo chiamato “Casabella” ci aveva scoperto nel 1973 al salone del mobile di Milano, ed aveva diffuso dovunque l’immagine dei nostri modelli in canna d’India , midollino intrecciato , tessuti di Fabriziani e Calandra, carabottini, grillages e “gelosie” del Deep South. Avevamo progettato e realizzato per loro uno showroom al famoso DD Building (Designers –Decorators), per la prima volta, una spazio a N.Y. si riempiva di palme di ogni forma e foggia.
(...)
Fummo tra i primi ad arrivare e quando Henry Tucci imprenditore e buyer di “Casabella”,ci propose di creare uno show room a New York, proprio al D.D.(Designers and Decoratos)Building(nel 1982), sentimmo che un nostro ciclo americano si stava finalmente per compiere.
Avevamo nel frattempo lasciato i Vivai del Sud, Tucci oltre a noi , art directors’ e progettisti, voleva importare un grande pool di aziende romane e milanesi, mixando per la prima volta dopo i successi ai saloni del mobile di Milano,un cocktail appetitoso e frizzante.

Gli Anni '70, I Vivai del Sud.

All’inizio degli anni settanta, girando gli "States" in "Greyhound", mi capitò in una libreria dell' università di Berkeley in California, il libro detto; "The Hole earth catalogue".
Leggendolo, mi resi conto di aver compiuto, attraverso l' architettura "spontanea", un viaggio nel tempo, in una società così complessa ed avanzata come quella americana, e, che, non avrei più dimenticato quelle sensazioni.
La collaborazione con Roberto Rossellini, grande regista del "neorealismo", divenuto negli anni '60, maestro di didattica televisiva con film storici come (La presa del potere di Luigi XVI, Socrate, Cosimo dei Medici etc), mi permise di capire attraverso la scenografia, l' ambigua precarietà del cinema.
Trucchi, specchi, false prospettive, architetture di un giorno.
Queste costruzioni effimere, che anche Leonardo da Vinci, nel passato aveva chiamato "Architettura da Festa", svilupparono in me quel desiderio di "impermanenza", quell' essere e non essere, sempre immerso in qualche viaggio.
Negli anni '70, con Maurizio Mariani, divenuti Architetti, iniziammo un lavoro di ricerca.
Nel bel mezzo del "Cratere mediterraneo", progettando giardini per i "Vivai del Sud",  entrammo nelle case, portandovi dentro l' esterno.
Passando, dalla luce, dalle ombre dei patii, , agli interni, sentivamo di procedere all' incontrario, ma ci sembrò più "giusto" e fu l' inizio di tante scoperte.
Con i "Vivai del Sud", divenuta una multinazionale del verde, si operava, con un occhio alla tradizione locale: le sedie pieghevoli dei cammellieri del deserto, le ombre delle serre siciliane, lo stile "Mc Intosh", i cestari romani.
Con l' altro, si corteggiava e si ribagnava nel Mediterraneo la tradizione americana dell' "House and Garden" i mobili Mc Guire, i "Winter gardens"…
E mentre la "canna d' India" in Italia diventava "design", scoprivamo che la "matrice" era unica: "la cultura europea emigrata in colonia, aveva scoperto le palme, e… reinventato l'eccelso, rischiando nei territori lontani, sperimentazioni ardite e seducenti…

Roberto Rossellini: Giusto puoi andare in Spagna e cercarmi Atene?? (1968-1972)

Con Roberto Rossellini ho avuto un rapporto intenso (e per me) bellissimo; mi ha insegnato innanzi tutto, come si possa emigrare da un' arte all' altra, al servizio dell' informazione e della cultura. Negli ultimi anni di cui poco si è parlato, Rossellini era e si sentiva al centro di un vasto movimento storico umanista, costruito negli anni con una grande mole di lavoro e il cui unico comune denominatore erano l' amore e la conoscenza.

Iniziai con gli "Atti" nel 1968; fui scaraventato (...) sul set tra i monti della Tolfa, dietro Civitavecchia; bisognava girare l’entrata a Gerusalemme di un gruppo di cavalieri Romani, attraverso la porta Ovest della città ... Ma non vi era città, solo un grande modello di Gerusalemme in scala l:500 dietro la macchina da presa, davanti ad essa un grande cristallo inserito in una cornice di 6 mt. x 2, sollevato da terra da due colonne laterali in legno, camuffate, da "dorico". Una parte del cristallo era specchiata e vi si rifletteva il plastico retrostante così che la M. da presa inquadrandolo permetteva alla città di incollarsi con il paesaggio frontale. Una delle Porte di Gerusalemme, non avevo lo specchio, e corrispondeva a trecento metri di distanza nel fondo valle, ad un portale ricostruito, che i cavalieri romani attraversavano al galoppo. Avvicinai l'occhio alla macchina da presa, l'insieme era perfetto! Ero entrato nel mondo dei trucchi! E Roberto Rossellini era un Mago! Oggi con il digitale, i rendering, l'elettronica, il sistema dei trucchi di Roberto Rossellini sembra anacronistico, ma allora, questo artigianato tecnologico, dava un contributo determinante, tecnico ed (altamente) economico, per sviluppare un cinema della "conoscenza" e del sapere, che oggi purtroppo non esiste più.
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