Architetto Giusto Puri Purini
La conquista dell’Architettura,iniziata sicuramente in modo non cosciente, si è rivelata tale progressivamente.Seguendo lo scorrere ritmato del tempo ho associato ad essa un approfondimento della conoscenza del nostro “essere” consapevole, e spettatore privilegiato dello spazio che ci circonda, lentamente ho capito i meccanismi fisici e trascendentali che ne regolano il fluire.
mercoledì 20 febbraio 2013
mercoledì 31 ottobre 2012
giovedì 11 ottobre 2012
La pubblicazione a puntate di una racconto di fantascienza...SCHIFEZZO DALLAS
http://www.artapartofculture.net/?s=schifezzo+dallas
Immagine tratta dalle illustrazioni di Schfezzo Dallas |
mercoledì 10 ottobre 2012
mercoledì 11 aprile 2012
lunedì 7 novembre 2011
...“Puoi portare in india una mostra su Leonardo?”
Quella volta la telefonata di Gaia Franchetti e di Alberto Bracci, titolari di una nascente associazione Italia-India, fu: "Giusto, puoi andare in India, a realizzare una mostra su Leonardo da Vinci!”.
Rimasi folgorato! Tanti avvenimenti mi spingevano ormai verso quella realtà. Tanti amici vi erano stati, alcuni erano rimasti per lungo tempo, altri, tornati con l'aria incantata e con verità interne completamente ribaltate! Io, in fondo, cercavo un approccio diverso con quella realtà, non da turista, e non da discepolo di qualche guru, bravo e capace a disoccidentalizzare in superficie, lasciando però, sotto la nuova leggera patina, egoismi, e capricci. Pensavo soprattutto a Baguan Sri Ranesh grande conoscitore delle filosofie occidentali, e quindi pronto ad accogliere nel suo grembo antico, le avanguardie esistenzialiste e stressate del. nostro mondo.
Ma, l'Induismo, a parte alcuni di questi ashram, diciamo molto liberali verso il mondo occidentale era una straordinaria filosofia della vita, in perenne contatto con il passato delle grandi filosofie vedaiche.
L'India che desideravo, era quella magica e misteriosa, piena di segreti da svelare e di nuove e ancora più antiche storie da raccontare.
Avvicinarmi a tutto questo, all'ombra di uno straordinario artista come Leonardo da Vinci, era come possedere un passaporto, una chiave di lettura che mettesse a confronto un modernismo del passato (Leonardo), ed uno del presente (India).
Gran parte del paese, allora, funzionava come le sue "Macchine", dal regime delle acque, alle forze meccaniche, all'agricoltura, alle produzioni industriali.
L'unico paese al Mondo, che viveva di regole non scritte, ma tramandate oralmente, e che per qualche migliaio di anni aveva generato la vita dal caos! Scoprii solo, alcuni anni dopo, che si trattava della più antica ed edonista società della storia mondiale!
Al cinema gli attori non si baciano sulla bocca, ma il Panteon delle divinità Indù è tutto basato sulla seduzione: Shiva, il grande ballerino, Parvati (la moglie), sensuale e coperta di veli e un'infinita schiera di Deità minori che banchettano al tavolo dei tradimenti e dell'amore e pensavo alle pie e sante donne del Panteon cattolico, coperte come donne islamiche.
Comunque, finalmente oltre alle lezioni di Jung, gli occidentali avevano scoperto un luogo dove la realtà si annida dentro di noi, ed è il subconscio, il motore del nostro essere, il luogo dove si depositano le domande e le risposte attraverso l'auto-controllo e la meditazione.
Penso anche che i successi economici di questi ultimi anni,. porteranno l'India, piano piano a disfarsi delle caste, gerarchia rigida e restrittiva, ma che ha impedito, surrealmente, che il pollice del piede di Shiva,in queste migliaia di anni, non si sia spostato dal foro che, trattenendo gli oceani, tiene il mondo nel suo precario ma armonico equilibrio.
Fu l'occasione, con questa mostra "Leonardo in India", composta da manichini vestiti da Piero Tosi ed Umberto Tirelli,a riprodurre lo sfarzo della Firenze del Rinascimento, integrata dagli splendidi modelli e “macchine” di Leonardo, provenienti dal museo Poldo Pezzoli di Milano, completata da una serie di padiglioni, ispirati ai suoi disegni tratti dall’"architettura da festa", di trasportare in India un "concept" delle città italiane di allora.
"L'architettura da festa" mi era strettamente compatibile, vicina all'idea metafisica del vuoto e del pieno. La sua concezione della colonna dorica, segnata verticalmente da tondini e fissata orizzontalmente da cerchi, era il "minimo" che potesse recepire ed indicare lo spazio. Poi tetraedri strutturali, come le filiformi strutture di acciaio degli edifici moderni, componibili tra di loro, a creare coperture, tensostrutture modulari. Spazi da occupare per le grandi feste dei Gonzaga, che si esaurivano in un tempo effimero tra l'alba ed il tramonto.
Queste architetture leggere, sperimentate già ai Vivai del Sud come gazebo, padiglioni, che già tanto mi avevano colpito nel raffronto con la Nouvelle Orleans , furono le armi che portai con me in quelle due mostre, realizzate a Delhi e a Bombay.
E fu con grande stupore che in una calda e buia notte a Delhi nell'Aprile del 1987, vedemmo uscire da alcuni vagoni merci in una sperduta stazione commerciale, insieme ad Alberto Bracci e Jill Rossellini, queste colonne traforate, queste cupole, questi sfarzosi manichini, e queste macchine realizzate in Italia, che sembravano fatte a misura d'uomo. Un guru dell'Occidente che attraversava il mondo per portare in quelle terre lontane 'il suo messaggio di idee e di invenzioni.
La mostra, a Nuova Delhi, al Lalith-Kale, fu un grande successo, evidente era la sintonia con l'India pre tecnologica ed il messaggio sul manifesto in seppia, del volto del grande maestro italiano, che si stagliava contro una complessa parete marmorea, traforata, fotografata qualche mese prima a Fatepur-Sikri, ultima dimora dei Moghul, fu il degno completamento di questa complessa ricerca culturale.
La sera prima dell'inaugurazione, ero distrutto dalla fatica, stavamo allestendo la mostra, da quattro giorni ed eravamo ormai pronti per l’atto finale, mancava solo da sistemare nell'ingresso una moquette rosso fuoco.
In un angolo c'era un grande rullo intero che non era ancora stato usato, ed in un altro, accatastati, una montagna di sfridi della stessa moquette, che dovevano essere buttati.
Chiesi ai miei operai, rajastani dopo aver mostrato loro il rullo intero, di montarmi questi ultimi 30 mq, io sarei andato in albergo, a fare una doccia. Me ne andai tranquillo sicuro di essere stato capito, quando tornai il giorno dopo alle 8 per dare gli ultimi ritocchi, notai con sorpresa, che il rullo di moquette era stato montato sul camion, e per terra all'ingresso, c'era una meravigliosa palladiana rossa creata con gli sfridi! Gli sembrava sciocco tutto quello spreco!
La rivista Indian-Architecture, dedicò una copertina all'avvenimento, ed un articolo intitolato "The red carpet treatement" .
Ci fu una replica della Mostra qualche mese dopo a Bombay (oggi Mumbai).
Fu sponsorizzata dalla famiglia Tata, ed ospitata nel grande centro culturale omonimo, da loro voluto e realizzato dal grande architetto americano Paul Rudolph. Visitammo i grandi stabilimenti di produzione e di ricerca dei Tata, le tecnologie avanzatissime, una famiglia con interessi in ogni settore, dal nucleare, ai trasporti, alle telecomunicazioni, facevano intravedere già allora le potenzialità di questo Paese sospeso tra lo spazio ed il tempo e pronto al grande balzo in avanti, che in una ventina d'anni si sarebbe manifestato con tutta la sua potenzialità. Tata è diventato l'India produttiva e burocratica. Il biglietto per il wagon-lit che si prenota in anticipo, dopo lunghe file, è nominale e fa sì che il tuo nome appaia con il numero del posto affisso sulla parete del vagone, come un servizio personalizzato. Come si può nel caos realizzare anche questo?
Oggi i Tata sono tanti e gli antichi Parsi, zooroastriani venuti dalla Persia, sono il gruppo etnico più potente di Mumbai. Alla loro morte i corpi vengono adagiati su delle grandi piattaforme di cemento sostenute da alte palizzate che si ergono fra le ville nelle colline sopra Mumbai, per essere dilaniati dagli avvoltoi (affinché il ciclo della reincarnazione, possa essere più veloce). Nulla veniva disperso e tornava alla natura.
Vidi una città dalle mille facce, ma vi si riconosceva il segno della modernizzazione britannica, un'impronta detta "coloniale", come un "lontano da te"... ma così brillantemente inserita in quella antica cultura architettonica d'oriente che ne accentuava l'unicità del carattere e delle forme. La severità classica dei grandi interventi urbanistici della pari modernità europea, contrastava con i colonnati bianchi ed i giochi d'ombra dei grandi edifici, come se una seconda pelle dalle mille forme avesse tutto avvolto, in un ritmato gioco del vedere, non vedere... oltre a Paul Rudolph ed altri,Le Corbusier,Louis Khan, spettò ad un architetto Goano, Charles Correa, e ad alcuni suoi edifici, autore tra l'altro di una bella mostra che vidi allora sulla natura dell'origine cosmica dell'India (Vishtara), di mostrare quella capacità di trascendere il passato, con l'impronta della modernità, rimanendo coerente con il suo ambiente naturale.
giovedì 3 novembre 2011
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