All’inizio degli anni settanta, girando gli "States" in "Greyhound", mi capitò in una libreria dell' università di Berkeley in California, il libro detto; "The Hole earth catalogue".
Leggendolo, mi resi conto di aver compiuto, attraverso l' architettura "spontanea", un viaggio nel tempo, in una società così complessa ed avanzata come quella americana, e, che, non avrei più dimenticato quelle sensazioni.
La collaborazione con Roberto Rossellini, grande regista del "neorealismo", divenuto negli anni '60, maestro di didattica televisiva con film storici come (La presa del potere di Luigi XVI, Socrate, Cosimo dei Medici etc), mi permise di capire attraverso la scenografia, l' ambigua precarietà del cinema.
Trucchi, specchi, false prospettive, architetture di un giorno.
Queste costruzioni effimere, che anche Leonardo da Vinci, nel passato aveva chiamato "Architettura da Festa", svilupparono in me quel desiderio di "impermanenza", quell' essere e non essere, sempre immerso in qualche viaggio.
Negli anni '70, con Maurizio Mariani, divenuti Architetti, iniziammo un lavoro di ricerca.
Nel bel mezzo del "Cratere mediterraneo", progettando giardini per i "Vivai del Sud", entrammo nelle case,portandovi dentro l' esterno.
Passando, dalla luce, dalle ombre dei patii, , agli interni, sentivamo di procedere all' incontrario, ma ci sembrò più "giusto" e fu l' inizio di tante scoperte.
Con i "Vivai del Sud", divenuta una multinazionale del verde, si operava, con un occhio alla tradizione locale: le sedie pieghevoli dei cammellieri del deserto, le ombre delle serre siciliane, lo stile "Mc Intosh", i cestari romani.
Con l' altro, si corteggiava e si ribagnava nel Mediterraneo la tradizione americana dell' "House and Garden" i mobili Mc Guire, i "Winter gardens"…
E mentre la "canna d' India" in Italia diventava "design", scoprivamo che la "matrice" era unica: "la cultura europea emigrata in colonia, aveva scoperto le palme, e… reinventato l'eccelso, rischiando nei territori lontani, sperimentazioni ardite e seducenti…
Pensavo al "French Quarter", ed a St. Charles avenue a New Orleans, regina negli U.S.A. della musica, luogo d' incontro di tante culture, città "entertainement" per eccellenza.
La "città della festa", mi fù evidente, quel “mardì gras” 1972.
Mi trovavo a New Orleans per caso e di passaggio. Mi immersi in una realtà vorticosa, trascendentale. Tutto fluiva, tutto pareva vi fosse permesso, la musica ed il contorno architettonico risuonavano nelle strade.
Mi trovai come per caso in una libreria, vi cercai testimonianze di ciò che andavo vedendo. Un città trasformata, piena di merletti, un' impermanenza sfacciata, edifici, natura, verande, patii, tutti gli elementi della seduzione, esposti ai sensi, mutevoli come le ombre, con lo scorrere delle ore.
Pensai nuovamente ad "Architettura di un giorno"!
Poi tra le mani mi trovai un libro, disegni e fotografie di una strada famosa di New Orleans, "Esplanade", che avrebbe dovuto essere inaugurata da Napoleone Bonaparte, in un viaggio da lui sognato e mai realizzato.
Sotto l'ottanta per cento delle immagini vi era scritto: "This is an example of an italianate Architecture".
L'Italianata, "l'Italianate" mi rimbalzava nella mente, e nella convinzione di avere in mano una chiave di lettura che mi riguardasse da vicino, pensavo alla nostra cultura formativa: "Blue Jeans", "Chewing gumm", Frank Lloyd Wright, J Dean, "il giovane Holden", "Easy Ryder" e tutte le "Americanate" che noi europei ci siamo portati appresso nei "roaring Fifties ad sixties" e perché no? Pensavo ai "Western spaghetti" i famosi western italiani girati tra i cartoni di Cinecittà e le praterie di Ostia Antica; Clint Eastwood, Sergio Leone: "Giù la testa"!
Vi era, laggiù, a New Orleans, il sapore di un altro Mediterraneo come origine degli eventi… Palladio, il grande architetto veneto, ed i suoi pronipoti, emigrati in Colonia, mi apparvero come gli unici artefici di questa "italianata" eversiva, dal neoclassicismo appena sfiorato, quasi irriverente. Sul restante 20% delle illustrazioni, la didascalia riportava "This is an example of a Greek Architecture"!
Ebbi la sensazione che attraverso queste trasparenze, queste ombre, attraverso un filo di Arianna luminoso, sarei stato trasportato nella storia, come un ascensore, verso il passato e viceversa, in luoghi dove tutto si ritrova e si riscopre.
Storia che ci racconta le mutazioni, dall'austerità al vezzo (penso alle colombaie delle torri di Mikonos), merletti a definire i contorni delle architetture: o a quello che noi italiani abbiamo fatto nelle isole del Dodecanneso, vestendo le architetture che nascevano ispirate alla "Bauhaus" e alla neo-razionalista Sabaudia, con i veli delle Mille e una notte.
Architettura italiana (da festa!) in Colonia!
Rodi, Simi, Patmos, Koos…
E perché no, i vetri colorati delle finestre di Tangeri, il tufo giallo di Noto in Sicilia, dove una città è scolpita come una statua, i pergolati a vigna di Sorrento, le cupole dei damusi a Pantelleria, le bianche colonne delle case, nelle isole Eolie.
Tutto ciò ci ha fatto pensare ad una raccolta di queste sensazioni, di queste "architetture da festa"… sparse un po’ ovunque.
Un "Hole earth catalogue", quindi, trent' anni dopo, più patinato, sotto forma di un "viaggio", nell'habitat, integrato dai vezzi; quali moda, costume, design, stili…
Nasce così l'idea di “Oltre il 7”, il percorso ideale della nostra avventura tra architetture e culture, ed il suo peregrinare attento, curioso, ironico e ricettivo, tra mode, usi, costumi, etnie, abitudini, che si esportano, si reinventano, e si ritrovano, da un lato all'altro dell'emisfero.
Ci rendemmo conto, in sintesi, che il primitivo approccio alla "cultura europea che emigrava in colonia"… altro non era, se non il seme di un lungo viaggio del conoscere.
Viaggio condotto a ritroso, verso le probabili origini delle "cose", dove anche le "case" degli uomini, apparissero, come frutto di spontaneità e di progettazione.
"Oltre il 7" è il tentativo di superare quella barriera storico-sociologica, fatta di pregiudizi, di false magie, di distorsioni e di luoghi comuni, che impedisce spesso alle antiche verità, di rimettere in circolazione quelle conoscenze, da contrapporre ed integrare alle nuove complessità che ci attendono alle soglie del terzo millennio.
In questo libro, viaggio, ricerca e racconto coesistono, tenuti insieme da un filo sottile: "Il viaggio verso Oriente": da Roma a New Orleans, attraverso lo stretto di Bering.
Andare verso oriente, quindi, alla ricerca di un'antica verità, di un'origine storico-geografica comune. Andare dal "mare nostrum" verso l'Asia Minore ed oltre; scoprire che nell'antica Ionia, Ercole era visto come un "Parvenue" un qualsiasi Mister muscolo, che gli "Argonaftas" (Argonauti) piloti di Argo, sognavano il mitico "vello d'oro", ignorando che, altro non era, se non una pelle di pecora, che immersa nei fiumi, ne tratteneva le pagliuzze dorate.
Scoprire che a Mileto e Priene, gli atomisti discutevano di materia, che a Pinara in Lycia, le colonne del tempio di Venere, erano a forma di cuore, e che, oltre ancora, gli antichi testi Veda (tramandati) oralmente, descrivevano le origini della terra e, veneravano milioni di divinità.
Scoprire inoltre, che nella ricerca del "Monte Olimpo" di ogni popolo, dalla Grecia all'Ararat, sopra ogni cosa, troneggiava il Kaylas in Himalaya. Il Kaylas, dunque, montagna sacra e luogo di paradiso per il buddismo tibetano, diviene un nuovo centro, il più forte, il più vario climaticamente. Dove il subcontinente indiano si è scontrato con quello asiatico, è sorto nei millenni un centro di produzione di fonti vitali, quali l'acqua, la terra, l'aria, il fuoco e lo spirito.
Da lì ripartirono per i quattro punti cardinali della terra, lungo i quattro grandi fiumi: l'Indo, il Gange, il Sutley ed il Bramaputra, innumerevoli genti, dai tempi più remoti.
Alcuni di questi popoli, si spinsero verso Nord, verso lo stretto di Bering e superato il tempio delle Balene, in terra asiatica, raggiunsero il continente americano, sciamando nelle pianure.
Dall'Asia, vedere l'America, fu per loro, come oggi per noi, da Coney Island, vedere Manhattan.
Gli Europei, invece, con lo stesso "sogno americano" nella testa, aspettarono il 1492 per attraversare l'Atlantico, a caccia delle Indie.
Dall' Himalaya quindi, "nuovo" ombelico del mondo, si è propagata in tutte le direzioni l'antica conoscenza, ed anche per noi europei appare più naturale proporre un viaggio a ritroso dai Greci verso oriente, alla ricerca di quelle tracce unificanti che diano ragione al progredire al contrario della storia e delle sue influenze.
Nel viaggio verso Oriente, sono le città-luce, in una lunga scia luminosa, il filo di Arianna che testimonia l'intrecciarsi ed il sovrapporsi di tante culture.
Da Roma, a New Orleans, passando per Tangeri Delos e Kos nell'Egeo, Pinara nella Lycia e poi Samarcanda, Katmandou, giù fino a Delhi, Penang e … oltre Bering, verso S. Francisco, Pueblo Bonito, New Orleans, Miami, Cartagena, fino a giù, alle terre del fuoco.
Questo continuo percorrere, itinerare, porta a fare numerose considerazioni: innanzi tutto, viaggiare, tampinare i luoghi simbolo, i centri nascosti del sapere, i luoghi dove scorre la musica, dove le armonie delle "cose" appaiono tutt'ora intatte, come dei Philip Marlowe, detectives della storia, inseguire il filo delle etnie, e restituire attraverso i "segni" ed i simboli individuati i tasselli di un nuovo linguaggio. Da questo continuo peregrinare, si formano, da un nucleo, originario, strati sempre più spessi di sapere, e si và lentamente formando anche malgrado noi stessi, un altro modo di percepire architettura: "un viaggio a ritroso nel tempo e nello spazio che faccia luce sulle origini, sugli archetipi, sulle tante falsità, sui vari flussi creativi, sparsi nei molti territori, del pianeta, sulla loro maternità, verso una 'Grande Madre' del sapere, dove solo la schiuma delle onde della storia, s'intreccia e crea il mare della conoscenza positiva, interattiva" … e così si và plasmando, malgrado noi, un "essere" dell'architettura che "divorando" con i sensi tutto il percepibile ed il visibile, neutralizza, quell'ego interventista, spesso nei creativi contaminato dal culto della personalità e non un "servizio" da rendere alla collettività.
Forse c'è aria di "rinnovamento" anche nelle ricerche storiche, ed appare evidente che l'Occidente è in debito verso l'Oriente, essendo da li che fluirono i segni di culture antiche e complesse, che tanta influenza hanno avuto su di noi nel corso dei secoli, e che già convivono nei loro aspetti primari, con la nostra quotidianità, in un grande "show down" mondiale dell'immaginifico.
Questa tendenza, è ormai inarrestabile, e varrebbe la pena, fosse accompagnata da una conoscenza più approfondita, dei tanti "club sandwich" culturali, sparsi lungo il filo luminoso della storia.
Non dimentichiamo che noi occidentali, siamo figli di quell'Ulisse, che Omero nel suo viaggio di ritorno da Troia fa peregrinare da Oriente verso occidente, in tutte le terre sconosciute del mediterraneo occidentale, facendolo misurare con Ciclopi ed altri archetipi antichi, simboli della paura e dell'ignoranza, fino alle colonne d'Ercole (stretto di Gilbilterra), dove, l'oltre, era: "Terra d'ignoto".
Ed è questo il senso della ricerca, così come appare nell' "oltre il 7", collegando a questi viaggi, ed a questi spunti un progetto continuo, un essere presenti, in un processo di “rinnovamento”, riconoscere i luoghi della nostra storia, imparando a progettarli, con strumenti adeguati.
Suggerendo porte da aprire, sguardi da volgere, dubbi e incertezze, impermanenze … per crescere verso una consapevolezza più vasta, sulle cose del nostro mondo.
Attivare i sensi, raccontare ciò che fluisce da nuovi incontri, costruendo molteplici direzioni.Non struggersi ed arrovellarsi per rendere sempre più grande, quella gran parte di “Bauhaus” che è già dentro ognuno di noi.