lunedì 23 maggio 2011

...Puoi portare in India una mostra su Leonardo?

Finalmente! Nel 1987, arrivò il viaggio in India … la meravigliosa, poliedrica, immensa India!
Cronologicamente parlando vi arrivai un po' tardi (43 anni), ma, andava prima completata quella ricerca "Welt-anschaung" che era iniziata con i viaggi da "figlio di diplomatico". Prima: l'Austria, la Romania, la Libia, l'Argentina, il Brasile, il Cile, il Sudan, poi, per conto mio gli Stati Uniti, il Messico, la Tunisia, l'Algeria, il Marocco, il Senegal, l'Egitto, l'Arabia Saudita, la Grecia, la Turchia (vari paesi europei).  Un "ciclo esplorativo" parziale dell'Africa, del mondo arabo, delle Americhe, e dell'Europa era compiuto.
Ero quindi pronto ad affacciarmi verso il grande continente asiatico.
Molto sapere su quei paesi era stato assimilato divorando libri, riviste, documentari come quelli sull'India di Roberto Rossellini e Pier Paolo Pasolini.
La centralità della cultura mediterranea, come "aggregazione" di culture diverse, alla ricerca di un tessuto connettivo e propositivo era ormai avvenuto nella mia mente, ed il superamento di una visione filosofica "marxista-leninista", che potesse risolvere tutti i problemi del mondo, era lo "status" nel quale mi dibattevo.
(...)
Conoscevo quindi l'Islam, abbastanza bene, ed avendo percorso il mondo islamico in lungo e in largo era giunto il momento dell'Induismo!
Quella volta la telefonata di Gaia Franchetti e di Alberto Bracci, titolari di una nascente associazione Italia-India, fu: "Giusto, puoi andare in India, a realizzare una mostra su Leonardo da Vinci!”.
Rimasi folgorato! Tanti avvenimenti mi spingevano ormai verso quella realtà. Tanti amici vi erano stati, alcuni erano rimasti per lungo tempo, altri, tornati con l'aria incantata e con verità interne completamente ribaltate! Io, in fondo, cercavo un approccio diverso con quella realtà, non da turista, e non da discepolo di qualche guru, bravo e capace a disoccidentalizzare in superficie, lasciando sotto la nuova leggera patina, intatti, eghismi, e capricci. Pensavo soprattutto a Baguan Sri Ranesh grande conoscitore delle filosofie occidentali, e quindi pronto ad accogliere nel suo grembo antico, le avanguardie esistenzialiste e stressate del. nostro mondo.
Ma, l'Induismo, a parte alcuni di questi ashram, diciamo molto liberali verso il mondo occidentale era una straordinaria filosofia della vita, in perenne contatto con il passato delle grandi filosofie vedaiche.
L'India che desideravo, era quella magica e misteriosa, piena di segreti da svelare e di nuove e ancora più antiche storie da raccontare.
Avvicinarmi a tutto questo, all'ombra di uno straordinario artista come Leonardo da Vinci, era come possedere un passaporto, una chiave di lettura che mettesse a confronto un modernismo del passato (Leonardo), ed uno del presente (India).
(...) 
Fu l'occasione, con questa mostra "Leonardo in India", composta dai manichini vestiti da Piero Tosi ed Umberto Tirelli, integrata dagli splendidi modelli di Leonardo riproducenti i suoi esperimenti, provenienti dal museo Poldo Pezzoli di Milano, completata da una serie di padiglioni, ispirati ai suoi disegni tratti dall’"architettura da festa" di trasportare in India un "concept" delle città italiane di allora.
"L'architettura da festa" mi era strettamente compatibile, vicina all'idea metafisica del vuoto e del pieno. La sua concezione della colonna dorica, segnata verticalmente da tondini e fissata orizzontalmente da cerchi, era il "minimo" che potesse recepire ed indicare lo spazio. Poi tetraedri strutturali, come le filiformi strutture di acciaio degli edifici moderni, componibili tra di loro, a creare coperture, tensostrutture modulari. Spazi da occupare per le grandi feste dei Gonzaga, che si esaurivano in un tempo effimero tra l'alba ed il tramonto.
Queste architetture leggere, sperimentate già ai Vivai del Sud come gazebo, padiglioni, che già tanto mi avevano colpito nel raffronto con la Nouvelle Orleans, furono le armi che portai con me in quelle due mostre, realizzate a Delhi e a Bombay.
E fu con grande stupore che in una calda e buia notte a Delhi nell'Aprile del 1987, vedemmo uscire da alcuni vagoni merci in una sperduta stazione commerciale, insieme ad Alberto Bracci e Jill Rossellini, queste colonne traforate, queste cupole, questi sfarzosi manichini, e queste macchine realizzate in Italia, che sembravano fatte a misura d'uomo. Un guru dell'Occidente che attraversava il mondo per portare in quelle terre lontane il suo messaggio di idee e di invenzioni.

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